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venerdì 31 agosto 2012

31 Agosto 2012. Visita al “Bukcheon local history museum”


Mi sto recando al “Bukcheon local history museum” che si trova nel distretto omonimo di Bukcheon.

Lungo la strada incontro il ristorante italiano Rossini e, sinceramente, sono incuriosito dal nome.
E’ – credo - un gentile omaggio al nostro grande genio pesarese (che oltretutto era anche un appassionato di cucina).
Sul menu troveremo gli “Spaghetti alla Figaro” o delle Tartine al sapor di Don Basilio”? E magari, mentre mangeremo, la Sinfonia de “L’italiana in Algeri” ci aiuterà a degustare le leccornie, preparate dallo chef: il Conte d'Almaviva alias Lindoro?
O saremo trattato come dei Pappataci: “mangia e taci”?
Il ristorante Rossini
Lascio alle mie spalle il ristorante dal simpatico nome e cammino su strade strette e, ahimè, in salita.
E’ davvero un ottimo allenamento, per diventare un calciatore di grido, anche se non ho affatto voglia, né desiderio di emulare Francesco Totti!

Ho un problema un po’ serio: siccome stamane il gran caldo è riesploso, senza alcun preavviso, ho appena terminato di consumare una bottiglia d'acqua, che avevo precedentemente acquistato e non c'è un cassonetto!
Attenzione, perché Seul è sguarnita di contenitori per i rifiuti e, nonostante ciò, la città è pulitissima!
Non posso, né voglio, né devo gettarla a terra: è il più classico e purtroppo comune esempio d’inciviltà, di maleducazione e di mancanza di rispetto nei riguardi della città, in cui si vive.
Troppo spesso, purtroppo, assistiamo, a gesti imperdonabili, come il gettare rifiuti a terra, che dovrebbero essere duramente sanzionati: pena minima 1.000,00 euro o, in alternativa, pulire per un ora, sotto stretto controllo da parte dei NOCS, le vie della città. Non sarebbe male come ipotesi!
La bottiglia, insomma, continua ad essere un impiccio. Che faccio? Non posso mica bussare ad una porta e chiedere, se, cortesemente, possa gettare la bottiglia nel secchio per l'immondizia. Non è una scusa plausibile, per rompere le scatole alla gente.
In qualche modo dovrei risolvere…ecco un bar:

“Entro e getto la bottiglia in un cestino”.

Al mio ingresso, un coro di ragazze lavoranti mi saluta, io sorrido, ma, anziché, come si usa, dirigermi alla cassa, gironzolo alla ricerca, vana per il momento, del cestino.
Sono anche sfortunato, perché in questo momento, la cassa è vuota ed alcuni clienti stanno consumando ai tavoli, per cui le attenzioni delle lavoranti sono rivolte al sottoscritto, che continua a cercare…

“Eccolo!! Trovato!... Proprio vicino alla cassa! Santo cielo”.

Mi avvicino, mentre vedo la cassiera pronta ad accogliermi con un largo sorriso e contabilizzare l’ordinazione. Io le sorrido, poi con un gesto velocissimo, introduco nel cestino la bottiglia. Sorrido ancora e guadagno l’uscita, mentre il coro delle lavoranti mi saluta.
Cosa avranno pensato? Meglio proseguire.

Per arrivare a questo benedetto museo, ci vuole tanta pazienza, perché la strada, non solo è in salita, ma, vedendo dall’alto questo spicchio di Seul, scommetto che si noterà un alveare di vie, viuzze, viette, che s’intersecano, s’incontrano, si scontrano, si dividono per poi riunirsi, col fine di far impazzire l’ignaro (in questo caso, io) turista, che va, davvero, alla ricerca del Museo perduto.

Alla fine di una salita ripidissima, che mi lascia senza fiato, sulla destra un piccolo negozio. Entro, per chiedere informazioni e mi trovo davanti una signora, non più giovanissima.

“Che cosa le chiedo?”.

La signora, affatto imbarazzata, mi chiede di parlare.
Io, un po’ per la mancanza di fiato (causa salita da Coppa della Montagna del Giro d’Italia) ed anche perché non so trovare le parole, prendo fiato ed intanto sorrido. La signora appare preoccupata, forse pensa che sto per esalare l'ultimo respiro? No niente paura; il problema è anche come comunicare: avendo la mappa tra le mani, la svolgo sul tavolo, che mi divide da lei, e le indico il luogo agognato.
La signora, allora, mi fa cenno di seguirla, conducendomi fuori del negozio e m’indica la direzione da prendere. Ringrazio con più inchini la gentile informatrice e continua la ricerca del Museo sotto un caldo, che ormai sembra di stare più a Dubai, che a Seoul. Non vorrei che spuntasse qualche cammello, tra una casa e l’altra.

Arrivato davanti ad un incrocio e non sapendo dove andare, poiché alcune stradine non sono segnate sulla mappa, incontro una coppia di orientali, che parlano (fortunatamente) molto bene l’inglese e chiedo lumi. La coppia sorride e mi dice che sono turisti coreani e che non conoscono questa parte di Seul!! E santo Dio! Oggi è il mio giorno fortunato! Possibile che vado a chiedere a chi non conosce la zona? Cercano anche loro di capire sulla mappa e trovano facilmente la direzione.

Arrivo al Museo! L’ingresso è di una sola porta: sulla destra il piccolo ticket office, sulla sinistra una sala, dove sono in vendita dei souvenir.
La cassiera è una signora di una cinquantina, che mi consegna la guida e pago il prezzo d’ingresso: 3.000 won (circa 1,50 euro).

Si tratta di un piccolo museo privato, che conserva prodotti tradizionali di consumo quotidiano dei nativi di Bukchon. Questo Museo ha un’importanza assai rilevante nella conservazione e cura di alcuni reperti molto antichi.

Nel cortiletto esterno, trovo l’occorrente, che serviva, per confezionare il cibo.

Il cortile

Il cortile










Il cortile
Proseguo ed entro nella prima stanza a sinistra dove trovo dei mobili antichi e diversi suppellettili.
Arredamento di una stanza
Un avviso comunica che le scarpe dovranno essere lasciate all’esterno e che potranno essere usate delle comode pantofole.

Da un lato due vecchie e romantiche macchine da scrivere, una molto simile a quella che usava, molti anni fa, mio padre, la persona più importante della mia vita; il mio grande, unico punto di riferimento; l'uomo che più ammiro e che più stimo, la persona che più amo, perché mi ha dato la vita; mi ha insegnato tutto quello che so e se oggi racconto di Seul, è merito suo. Grazie papà!! Ti amo!!!

Le macchine da scrivere

All'interno di in contenitore di legno, chiuso da un coperchio di plastica trasparente, delle bambolette e due telefoni, identici a quello usati dai miei carissimi ed indimenticati nonni paterni; ricordo quanto pesava la cornetta!

Alcuni giocattoli dell'epoca
Telefoni uguali a quelli che usavano i miei
adoratissimi nonni paterni
In un mobile sono custoditi dei mangianastri Sharp ed una radio a valvole.

Una mangianastri
Anche io ho posseduto più di un mangianastri; il guaio era, quando il nastro della musicassetta s’incastrava nei, non ancora perfetti, ingranaggi e lì erano dolori, perché, per disincastrare il nastro si doveva fare molta attenzione, per non rischiare di spezzarlo!
In una teca dei vestiti tradizionali per bambini: l'uno dai colori sgargianti l'altro dalla tinta scura.
Vestiti per bimbi
Delle foto riproducenti scene della Corea post guerra sono esposte nell'ultima piccola sala.
Si vede un paesaggio rurale: uomini e bambini intenti al lavoro.
In un'altra foto delle bambine, che recano sulla testa delle brocche e sono ritratte tutte sorridenti e felici.

Alcune foto d'epoca
In un'altra immagine, una famiglia composta dal nonno due figli e tre nipoti. Gli adulti guardano fissi in camera mentre i bambini hanno lo sguardo rivolto altrove.
Ancora momenti di vita contadina ed un ultima foto, che ritrae un anziano sorridente (e vorrei vedere!) su un carretto monoposto, trainato da un giovane.

Un salto indietro nel tempo alla ricerca della memoria e delle origini, che sono indispensabili, al fine di conoscere meglio se stessi e chi siamo.

L'ingresso del Museo


giovedì 30 agosto 2012

30 Agosto 2012. Pranzo al TGI Friday

Quest'oggi pranzo al TGI Friday.

L'ingresso della bisteccheria

L'ingresso

E’ una bisteccheria in stile americano, che si trova all'interno del centro commerciale Coex, di cui ho parlato diffusamente nei precedenti post. In diverse zone di Seul, ho visto più ristoranti TGI, essendo un franchising molto affermato.

Il ristorante si trova in una zona distante dalle boutique e jeanserie del Centro.

L'arredamento è interamente in legno ed il soffitto è a bande bianco e rosso come la parte esterna. All'interno diverse foto di personaggi celebri.
Il campionissimo Cassius Clay, immortalato, quando era nella sua miglior forma.
La foto delle Charlie Angels invece si trova di fronte e sembrano guardarmi con quel sorriso ammaliante, che nonostante gli anni passati, conserva intatto il fascino.
La foto delle Charlie Angels
La locandina di un altro mito made in Usa: “Rocky” alias Sylvester Stallone. La bandiera americana copre i possenti muscoli, scoprendo il viso ridotto ad una maschera di sangue.
Una vecchia pubblicità del Jack Daniel's ed un'altra locandina di un altro film intramontabile “Lo spaccone” protagonista uno straordinario ed affascinante (per il pubblico femminile) Paul Newman.
Il faccione di Mick Jagger mi colpisce come un pugno in un occhio! Capelli arruffati e smorfia sul viso. Anche lui è un mito!
E per chiudere la galleria delle celebrità il re del rock: Elvis Presley, ritratto ancora, quando era molto giovane e faceva impazzire le ragazzine di mezzo mondo.

I tavoli sono tutti organizzati per 4 persone. Le cameriere sono in divisa: una maglietta rossa, che arriva alla vita, cui e legato un grembiule nero che arriva quasi ai piedi. Alcune indossano dei pantaloni altre degli short paint. Gli uomini, anche loro, nella medesima divisa. Ho notato la presenza, almeno in questo ristorante, di molti camerieri, che rendono così le attese molto meno lunghe e snervanti del previsto, essendo il ristorante sempre molto frequentato da una clientela ovviamente giovanile, anche se qualche signore di una certa età (non il sottoscritto!!) non disdegna di concedersi una bistecca Made in Usa.

Proprio a fianco del mio tavolo, hanno presso posto due fidanzati; si sono seduti uno accanto all’altro. Lei indossa una minigonna, che oserei chiamare microgonna; lui, invece, è piuttosto elegante. Consultano, insieme, lo stesso Menù, che un cameriere aveva posto sul loro tavolo.
Altre tre liceali, con indosso la divisa, ridono e scherzano, qualche tavolo più in avanti. I capelli sono raccolti dai fermagli e la divisa è composta da una camicia bianca, sul cui lato sinistro c’è uno stemma (sarà, forse, lo stemma della scuola, che frequentano), sotto il quale il nome. La gonna, al ginocchio, è blu.

A proposito sta arrivando il mio ordine.
Cosa ho ordinato? Una Rib eye (bistecca o filetto australiano o della Nuova Zelanda) con contorno di verdure grigliate (cavoli, peperoni, melanzane) e patatine fritte, che lascerò (con tanto dolore nell’anima) nel piatto.

La bistecca con contorno di verdure e patatine fritte
Da bere? Acqua.
Buon appetito gente!

mercoledì 29 agosto 2012

29 Agosto 2012. Visita al "The Asian Art Museum”

The Asian Art Museum (http://m.visitseoul.net/en/m/article/article.do?_method=view&m=1003001002022&p=02&menu=0004003002005&art_id=48560&searchLoca=&searchTheme=0002000001003&flag=&searchType=) si trova nel distretto di Bukchon. Fu fondato da Young Doo Kwon, che, per oltre 30 anni, s’impegnò a conservare il patrimonio culturale della Corea e di alcuni paesi asiatici.

Il Museo si trova nel luogo in cui Maeng Sa Seong, famoso ministro del primo periodo della dinastia Joseon, noto soprattutto per la sua onestà, visse.

E’, davvero, un luogo, dove l’intenso, penetrante e fastidioso rumore del traffico non arriva, perché si snoda, oltretutto, su una collina, caratterizzata da stradine molto strette, che rendono difficile la circolazione.

In alcuni garage privato vedo spuntare sagome di automobili di grande cilindrata: BMW, Mercedes, una Ferrari!! Desumo che, forse, mi trovo in un centro abitato da persone assai benestanti. Il guaio è che la strada è in salita, eppure ripida! Eserciterò, così, i muscoli delle mie gambe.

L'indicazione per The Asian Art Museum

Nel cortiletto del Museo, alcuni operai lavorano alacremente; uno di essi m'indica l'ingresso dove ritirerò il biglietto e mi verrà, contestualmente, consegnata la guida. Nella prima galleria due stupendi quadri di fiori dai colori vivissimi del periodo Joseon; una calligrafia di Whang Ook (1898 1992) e numerose calligrafie presenti attirano la mia curiosità. Il tratto leggero, su carta bianco panna.

Oggetti di porcellana, bronzo ed alcune statuette di animali sono conservate in più teche sul lato sinistro della stanza.

La seconda stanza è dedicata ad opere provenienti dal Tibet. Ci sono tre angoli ben definiti, dove posso ammirare una stupa tibetana fantastica del diciannovesimo secolo ed ancora vasi e degli incensiere.

Un Buddha in meditazione sopra uno scranno rosso.

Buddha in meditazione
Altre piccole statue Maitreya: il prossimo Buddha, successore di Gautama Buddha, la cui rinascita è attesa dai Buddhisti; Mahakala: è un Dharmapala cioè protettore del Dharma; Vajrabhairava: il distruttore del signore della morte; Vaishravana: il capo dei quattro Re celesti, figura importante nella mitologia buddhista.

Nel secondo angolo, alcune trombe rituali ed altre statue di Dakini: divinità tantrica, descritta come una forma femminile di energia illuminata. il sutra mahapra jnaparamita chiude quest'altro angolo.

Percorrendo un corridoietto ad elle mi trovo nell'ultimo angolo caratterizzato da alcuni strumenti per i riti molto particolari.

C'e anche uno strumento per gli esorcismi! (non è vero ma ci credo) Spero che funzioni ancora!! Vorrei che esorcizzasse la crisi, che sta attanagliando la mia amatissima patria, l'Italia, e donasse serenità e pace alle sue genti.

Con questo auspicio mi avvio all'uscita, per visitare il secondo piano. Rifaccio il percorso a ritroso e mi ritrovo davanti le facce affaticate degli operai e vado nel gobulseodang.

La scuola Gobulseodang del periodo Joseon
Essendo il pavimento in legno, sono invitato a togliere le scarpe (in Corea avviene spesso!): è la scuola tradizionale della dinastia Joseon.

Il secondo piano e occupato da una sala interna che contiene oggetti in bronzo del ventesimo secolo provenienti dal Tibet e dalla Cina. Passo alla parte esterna e rimango colpito dal paesaggio: moltissime case hanno il tetto in stile antico!

La visuale dal secondo piano del Museo
Ma siamo sicuri che stiamo nel ventunesimo secolo, l'era di internet e dei computer? Basta alzare lo sguardo, per incontrare tanti grattacieli (alcuni in costruzione), che mi riportano alla realtà.

Scendo delle scale, costeggiando la saletta museale e noto sui gradini l'impronte di mani colorate molto divertenti;

La scala
 al termine della scalinata un deliziosissimo giardino con un minuscolo laghetto ed alcune statue buddhiste.


Il piccolo giardino
 Lascio il laghetto alla mia destra e m'inoltro per un sentiero, segnato da grandi massi posti tra ciuffi d'erba.








La visita...è finita!

28 Agosto 2012. E’ in arrivo un uragano!!

Ieri sera i notiziari della sera hanno avvertito, in modo piuttosto preoccupante, che quest’oggi alle 15 locali Seul sarà interessata dal passaggio di un uragano, il quale si è già manifestato, con tutta la sua furia, in alcune città del Sud.

Scorrendo le immagini, ho visto alberi sradicati; alcuni precipitati su automobili in sosta, pali della luce piegati un poco e le strade piene di foglie, cadute dagli alberi.
Insomma, uno scenario davvero brutto.

Per precauzione, le scuole sono rimaste chiuse; alcuni negozi hanno preferito non aprire e sono, comunque, garantiti i servizi necessari.
Infatti, stamattina la metro funzionava perfettamente.

Dalle ore 14, sono rinchiuso in casa, aspettando il passaggio dell’uragano; potrò, così, assistere a questo terribile evento “in diretta”.
Già da ieri, uno strano caldo era sceso nei pressi del fiume Han, dove spesso mi reco, per passeggiare. Sembrava che l’aria si volesse appiccicare alla pelle; delle folate, molto violente, di vento improvvise, poi, un poco alla volta, qualche goccia ha iniziato a turbarmi: infatti ho pensato che l’urgano fosse in anticipo!
Niente paura. Qualche goccia, ma nessuna preoccupazione.

Sono le 16, c’è un fortissimo vento, che fa sussultare le finestre, di tanto in tanto.
Dalla mia camera, vedo gli alberi, i cui rami sono piegati verso terra. Improvvisamente, poi, i rami riprendono la loro naturale posizione, segno che il vento sta calando.
Piove poco ed il cielo è plumbeo, grigio, molto pesante.
A volte, la pioggia diventa più forte, poi rallenta, percuote contro gli spessi vetri della mia camera.
Non mi sembra, fino ad ora, che l’uragano sia poi così forte, come era stato ripetutamente preannunciato; probabilmente, provenendo dalle zone a sud della penisola coreana, durante la risalita sta perdendo forza. Certo, si sente un cupo fischiare del vento: sembra un coro, che canta la vocale “U”.

Il vento è sempre più forte, vorrebbe quasi spezzare gli alberi, che resistono strenuamente, mentre l’asfalto è quasi un tappeto di foglie ed erbacce. I
l canto straziante del vento continua senza sosta; fortunatamente, al chiuso non si corre pericolo.
In strada, qualche macchina procede molto lentamente, cercando di evitare, se possibile, gli ostacoli “vegetativi”, che incontra al passaggio.
E’ incredibile come il vento entri nel dispositivo dell’aria condizionata, provocando un suono testo, oscuro, minaccioso, tristissimo.

lunedì 27 agosto 2012

27 Agosto 2012. Pranzo al buffet del ristorante “Aria” del “The Westin Chosun” di Seoul.


L’hotel Westin Chosun (http://www.echosunhotel.com/seoul.action) è stato, per il quarto anno consecutivo, votato dalla rivista “Best in Travel Poll” come tra i 25 migliori alberghi dell’Asia.
Ci sono sei ristoranti: “Ninth Gate Grille”, primo ristorante di cucina francese di Seoul, convertito in una brasserie di stile internazionale. “Hong Yuan”, cucina cantonese; “Sushi Cho”, cucina giapponese, “Vecchia e nuovo”, cucina europea. Ho scelto il buffet “Aria”, poiché sono presenti dieci tipi di cucina internazionale.
Prima di accomodarmi nella bellissima sala da pranzo, ho notato all’ingresso una scultura di Henry Moore (1898 – 1986): “Rifugio" in bronzo con patina d’oro del 1985 .
"Rifugio" in bronzo con patina d'oro dello scultore Henry Moore
Il ristorante si trova al piano -1; l’ascensore, per raggiungerlo, è nei pressi della scultura. Appena si arriva al piano, si deve percorrere un corridoio, in direzione sinistra, e si arriva al ristorante “Vecchia e nuovo”, a quell’ora ancora poco frequentato.

Il ristorante "Vecchia e nuovo"
Una bellissima cantina mostra degli ottimi vini, che attendono di essere consumati, alla fine della quale c’è l’ingresso per il Buffet.

La cantina
La sala ristorante
Appena entrato, mi sono diretto presso il desk, dove una gentile signorina, dopo aver controllato la prenotazione, mi ha accompagnato al tavolo, avvisandomi che il Buffet era aperto. Sala molto grande, arredata con uno stile molto moderno.





S’inizia con del sushi, preparato da due cuochi su ordinaziona;

Sushi
proseguendo sette piatti di cucina cinese;

Sezione di cucina cinese
 l’immancabile selezione di ottimi formaggi

I formaggi
ed accanto il pane;

Il pane
una grande novità: la cucina indiana! C’è anche, ovviamente, un cuoco indiano, che si preoccupa di confezionare piatti della sua terra d’origine e devo ammettere che ha conquistato completamente il mio gusto: erano eccellenti!
Cucina indiana
Ottima la presenza della cucina europea con l’immancabile pasta (cotta al momento), lasagna (non male con le verdure oltre che con carne, pomodoro e besciamella), della buonissima pecora (a me fa impazzire), verdure grigliate e tre tipi di salsicce, davvero molto gustose, irresistibili!
La carne
Chiude in bellezza la sezione dei dolci e della frutta.
Una bellissima esperienza culinaria, un modo molto (anzi troppo) piacevole di girare il mondo, seduto ad un tavolo.

domenica 26 agosto 2012

26 Agosto 2012. Visita al Central Buddhist Museum

E’ un piccolo, ma interessantissimo Museo, che si trova di fianco al Tempio Jogye.
Il Museo


L'ingresso
Due signore molto anziane si trovano all’ingresso e, pur non parlando una parola d’inglese, attraverso ampi gesti mi hanno fatto capire che l’ingresso era libero.

S’inizia con un bellissimo dipinto, dove sono raffigurati i Guardiani, che difendono coloro che entrano nel Tempio e rappresentano l’inizio e la fine e, dalla parte opposta, la Predicazione di Amitabha.

La predicazione di Amitabha

Amithabha, Luce infinita, è menzionato nella maggior parte dei sistemi tantrici e rappresenta vari aspetti fisici e mentali, combatte le illusioni del desiderio e della lussuria e rappresenta la mente illuminata della saggezza discriminante. Amitābha Buddha è un Buddha celestiale descritto in alcuni sutra della scuola Mahāyāna di Buddhismo. Secondo queste scritture, Amitābha è un Buddha, che possiede infiniti meriti in virtù delle numerose buone azioni compiute, durante le sue innumerevoli vite come bodhisattva (è quindi un Buddha completo, come il Gautama Buddha); ormai da tempo al di fuori del samsara, vive nella “Terra Pura”, che si trova oltre l’Occidente, al di là dei confini di questo mondo. Grazie alla forza dei Voti da lui giurati, quando era un bodhisattva, Amitābha conserva la possibilità di far rinascere coloro che lo invocano in questo Paradiso Occidentale, dove possono studiare il Dharma sotto la sua guida e quindi diventare bodhisattva e poi Buddha a loro volta, scopo finale di ogni anima nel buddhismo Mahāyāna.

Tra i due dipinti, il Buddha Sakyamuni seduto.

La statua del Buddha seduto.
Ci sono le impronte dei piedi del Buddha Sakyamuni.

Le impronte dei piedi del Buddha
Alcune tavole di legno raccolgono i fatti principali della vita del Buddha.
Il ventunesimo libro del Weolinseokbo del periodo Joseon.
Il ventunesimo libro del Weolinseokbo


Quindi, inizia un immaginario viaggio, svolto dentro la vita del Buddha Sakyamuni, attraverso dei dipinti.

S’inizia con la nascita imminente del Buddha. Egli era un principe, che rinunciò al trono (quindi al potere), per ricercare la Verità.

Nacque nel quinto secolo a.C., contemporaneo di Confucio e Socrate. La simbologia della nascita del Buddha e del Gesù il Maestro dei Maestri, è simile.

La nascita del Buddha

Racconta la leggenda che sua madre Maya, (che significa «illusione,» «o universo», in sanscrito); trascorreva un periodo di astinenza e castità nel palazzo del regno di Kapilavastu, nel nord dell’India.

Quando una mattina, una strana sonnolenza l’avvolse, si sdraiò sul letto reale della sua camera, cadde in un sonno molto speciale: sognò che i quattro Re Celestiali la trasportavano, innalzandola con il suo letto, al di sopra delle catene dell’Himalaya, arrivati oltre le cime altissime, l’adagiarono presso un albero, che si mise da un lato rispettosamente. Arrivarono le mogli dei quattro re, la lavarono accuratamente, purificandola da ogni macchia umana, l’adagiarono in un letto divino, rivolto a est.

All’orizzonte una stella brillò intensamente, e discese dirigendosi verso Maya, quando toccò terra, si trasformò in un elefante bianco, colse con la sua proboscide un fiore di loto, lo depose al suo fianco, dove lei giaceva e il fiore scomparve penetrando nel suo utero.

In quell’istante il Bodhisatva di compassione entrò nel grembo di sua madre.

La regina, al suo risveglio, molto turbata, raccontò il suo sogno al Re Suddodhana, a sua volta, il Re interrogò i Bramini, per avere il loro parere sul presagio, buono o cattivo. I Sacerdoti annunciarono che un grande Essere sarebbe venuto nella sua famiglia, un Re o un Buddha.

Alla sua nascita dopo sette giorni, sua madre Maya morì. I Bramini danno varie spiegazioni su questo, una di esse è che le madri dei Buddha muoiono, dopo aver fatto nascere figli illustri, perché il ventre, che ha concepito un Boddhisatva, è come il santuario di un tempio e non può servire per altri figli.

Un’altra spiegazione, molto più profonda e che lei si ritira nell’universo Manifestato o Maya.

Il principe Siddharta, racconta la leggenda, che con gli anni, oltre a imparare tutte le arti di un futuro Re, si compiaceva nella meditazione e nella solitudine.

Il Re Suddhodana, desiderando che suo figlio diventasse il suo degno successore, fece in modo di distrarlo da tutte le questioni esistenziali profonde.

A sedici anni si sposò con Yosodhara, ebbe un figlio a cui diede il nome di Rahula, che significa «Impedimento». Questo avvenimento fu di grande importanza, Siddharta aveva un’erede per la sua successione al trono, e, per fortuna, era libero di rinunciare ai suoi diritti e abbracciare la vita religiosa.

La partenza del Buddha
LA GRANDE PARTENZA 
 La leggenda racconta che quattro incontri determinarono il Principe Siddharta ad abbandonare il suo palazzo, per dedicarsi alla vita religiosa. Egli trascorreva tutto il tempo tra le mura del palazzo reale, protetto da suo padre, che gli nascondeva la realtà, e le disgrazie della vita. Per quattro volte, varcò la soglia del palazzo, accompagnato dal suo fedele domestico.

Una volta vide davanti al suo carro, un anziano, un’altra volta un malato, la terza volta un cadavere. Poi, lo fece riflettere un uomo con la testa calva e gli occhi sereni, era un asceta che dedicava la sua vita alla religione. Allora, Siddharta Sakyamuni profondamente commosso, decise di abbandonare il suo palazzo, per vivere la stessa vita di quell’uomo, con il proposito di scoprire le cause della sofferenza, la malattia, la vecchiaia e la morte.

E così Sakyamuni aveva scoperto il dolore e la sofferenza del suo regno. Così dopo le quattro tappe, Sakyamuni, seguendo le usanze della sua epoca, iniziò il cammino spirituale, per obbedire al suo Intimo Profondo, il suo Essere. Una notte, accompagnato dal suo servo, uscì dal palazzo, quando fu abbastanza lontano disse addio al suo domestico e amico, gli diede il suo cavallo; scambiò i suoi lussuosi abiti con altri più umili, tagliò i suoi capelli, e iniziò il suo cammino verso il bosco, alla ricerca della verità.

Inizia la ricerca della verità.

LA VITA RELIGIOSA NEL BOSCO  In quei tempi esistevano due eremiti Bramini ai piedi di un monte e Sakyamuni decise di seguire i loro insegnamenti. I saggi eremiti orientali venivano considerati persone di grande saggezza e potere; erano considerati grandi autorità nel campo religioso e metafisico, per questo Sakyamuni li scelse come maestri.

Inizia qui la pratica dello yoga, che caratterizza la terza fase della vita di ogni orientale, acquisire la concentrazione mentale, introspezione nel proprio Essere Intimo Profondo, l’emancipazione del corpo fisico attraverso il controllo psichico.

Lo Yoga in quel periodo era considerato un mezzo, per liberarsi dalle sofferenze legate alla condizione umana. I Maestri Eremiti insegnarono a Siddharta le discipline della meditazione, queste rimasero poi integrate nelle pratiche del Buddismo. La ricerca di Sakyamuni era orientata verso l’illuminazione, che libera l’umanità dalla sofferenza dell’eterno ciclo di nascita e morte. Comprese che quelle pratiche non lo avrebbero condotto verso la meta a cui aspirava, le abbandonò, e si dedicò alle pratiche ascetiche.

Sakyamuni aspirava all’illuminazione, e rendendosi conto che i due maestri asceti e le loro pratiche, non gli avrebbero permesso questo, racconta la leggenda che si dedicò da sei a dieci anni alla pratica nel più puro ascetismo. La stessa fonte, racconta, che fuggì nel bosco vicino al villaggio di Senna, dove si riunivano Bramini che avevano abbandonato le loro famiglie, e praticavano l’austerità.

L’ILLUMINAZIONE Racconta la leggenda, che si bagnò nel fiume, per togliersi la sporcizia accumulata nel suo corpo fisico, riprese a nutrirsi, mangiando riso e migliorando la sua alimentazione, recuperando infine tutte le sue forze.

Abbandonò quel bosco, e i discepoli che lo seguivano, dissero che aveva deviato dal cammino.

Con il fermo proposito di trovare la radice di tutte le sofferenze si sedette all’ombra di un Tipal (l’albero del fico in indù), e decise di non alzarsi fino a trovare la soluzione, a costo di perdere la pelle e la sua carne, e conoscere la realtà di ogni cosa.


Il Buddha seduto sotto l'albero.

LE TENTAZIONI DI MARA Preso posto sotto quell’albero, sedette sul suo tappeto, determinato a raggiungere l’illuminazione. Assunse la posizione di loto, postura classica della meditazione.

Le scritture raccontano adesso delle tentazioni di Mara. Le tentazioni di Mara hanno un ruolo importante in ogni processo d’iniziazione e di illuminazione.

Mara significa «il travolgente di vita», è l’ego a livello psicologico, elementi inumani che portiamo dentro noi stessi di esistenza in esistenza.

Gautama rimase impassibile per vincere colui che è chiamato il demone interiore, ego, con le sue intimidazioni e resistenze. All’alba raggiunse l’illuminazione, l’occhio di saggezza riscosse sublime chiarezza, quando la stella del mattino brillò, Sakyamuni sentì che tutta la sua vita esplodeva, in un istante distinse l’ultima realtà di tutte le cose. In quell’istante si trasformò in un Buddha.

Al tramonto, dopo il passaggio per i quattro stati di dhyana o intensa meditazione, raggiunse il primo grado, staccato dai sensi, poi il secondo: la sua caratteristica è la concentrazione perfetta della mente unita a uno stato di allegria. Nel terzo grado s’immerse in uno stato di pace e serenità senza limiti, nel quarto grado, raggiunse uno stato di suprema purezza, al di là di ogni sofferenza, piacere, pena, allegria.

Dopo essere riuscito nel completo dominio dei quattro gradi di dhyani, andò alla ricerca dell’origine di ogni sofferenza.

Si racconta che in quella notte ricordò la sua vita antecedente, poi tutte le altre, migliaia di esistenze in innumerevoli aeoni, rivide tutte le sue morti, il tipo di vita che ebbe, se felice o dolorosa.

Questo lo sperimentò, lo vide grazie al suo occhio di saggezza aperto.

Gli insegnamenti del Buddha parlano dei sei regni che l’anima deve attraversare uno dopo l’altro fino al raggiungimento della liberazione finale...

Poi, nella seconda fase, la notte, esplorò il mondo, la vita, la morte, l’eterno ritorno di tutte le creature, che nascevano e morivano in base alla legge de Karma, Dharma, cattive o buone azioni.

Le creature, che avevano vissuto nel peccato, passavano un tempo nella sfera della miseria, chi aveva fatto buone azioni, trascorreva un tempo nei tre cieli.

In quell’istante comprese la legge del Karma, che governa tutto l’universo.

Nella terza fase della notte, l’ultima verità: le dodici cause dell’eterno ritorno, vere cause e origine di tutte le sofferenze.

Comprese le quattro Verità Sacre, il modo in cui rimangono tutte le cose transitorie e impermanenti, e di tutte le cose che fanno parte del nobile sentiero ottuplice.

Così Gautama, si era trasformato in Buddha e, tutto il risultato delle esperienze vissute quella notte, furono le basi dell’insegnamento per i suoi discepoli.

Aveva trovato l’origine di tutte le sofferenze e si propose di divulgarlo a tutte le persone, che cercavano la vera strada della liberazione, persone con inquietudini sincere e avanzati spiritualmente, capaci di raggiungere l’illuminazione momentanea, semplicemente e ascoltare le sue rivelazioni in una forma semplice e chiara.

A questi insegnamenti si diede il nome: La Ruota Del Dharma o della Legge. Perché chi trascende questa Legge, raggiunge il Padre, va oltre il ciclo di nascita, morte, gioie, sofferenze, senza ego, senza desideri, attaccamenti. Raggiungendo la beatitudine, diventa Buddha.

In una teca un bellissimo vestito del Buddha Amitabha del periodo Joseon.
Tre piccole statue, provenienti dallo Stupa (il reliquiario) del Tempio Sajongsa del periodo Joseon.

Le tre statue, provenienti dal reliquiario del Tempio Sajongsa

Una statua della divinità Avalokiteśvara (“il Signore che guarda in giù”), il più venerato Bodhisattva della scuola Mahāyāna. È un dio misericordioso, che ha fatto il voto di non entrare nel nirvana, se non, dopo aver salvato tutte le creature, liberandole dall’ininterrotta peregrinazione di vita in vita.

La divinità Avalokiteśvara

Un’altra statua di bronzo del Ksitgarbha Bodhisattva, anch’essa divinità, come Avalokitesvara, che rinunciò a diventare Buddha fintanto che ci fossero state delle anime in pena. Ksitigarbha fece voto di non raggiungere lo stato di Buddha, finché tutti gli inferi non si fossero svuotati; il suo voto è ancora oggi recitato da molti buddhisti: "Non finché tutti gli inferi si siano svuotati diventerò un Buddha; Non finché tutti gli esseri siano stati salvati ascenderò al Bodhi."

Uscendo dal piccolo museo, mi accorgo che, all’interno della casa dei Bonzi, si sta tenendo una cerimonia. Provo a guardare dalla finestra e noto anche molti fedeli, raccolti in preghiera. Tolgo le mie scarpe, riponendole nell’apposito spazio ed entro.

Tre i Bonzi celebranti ed altri sei, invece, partecipano, seguendo la recitazione dei Mantra su dei libri. Dietro di loro i fedeli, come i Bonzi, seduti su dei larghi cuscini. Anche io prendo un cuscino e mi siedo, cercando di percepire quell’atmosfera così carica di mistero, che avvolge sempre persone, che pregano. Un Bonzo recita, cantilenando al microfono le preghiere; un altro suona su un tamburo ed, infine, un terzo Bonzo, ogni tanto, suona una campana. Tutti l’uditorio è rivolto verso le tre statue del Buddha, che si trovano di fronte a tutti noi. Noto una signora molto anziana, che snocciola i grandi di un rosario. Un poco alla volta, la voce del Bonzo inizia a cantare melodie ripetitive sempre più discendenti, il suono del tamburo diventa sempre più misto a pause ed il campanello rallenta i suoi intervalli. Ad un certo punto, i Bonzi iniziano ad alzarsi, segno che la sacra funzione sta terminando e lentamente sfilano, uscendo dalla sala. La signora ripone delicatamente il suo rosario. I tre Bonzi celebranti continuano la loro opera, ma ormai le ripetizioni sono sempre più frammentate. Improvvisamente il silenzio irrompe con la sua maestosità in questa Sala. I tre Bonzi officianti sfilano verso l’uscita in religiosissimo silenzio, seguiti da tutti noi.
La preghiera

sabato 25 agosto 2012

25 Agosto 2012. “Roma” a Seul.


Domani chiuderà i battenti la mostra "Roma", che si è tenuta, per un mese, presso “The War Memorial of  Korea” di Seul, di cui ho parlato in precedenza. Per un romano, innamorato follemente della città, in cui è nato, questa Mostra rappresenta un validissimo mezzo, per riavvicinarsi all'atmosfera, così carica di storia, che si respira nella città d'origine.

Il prezzo del biglietto è di circa 10 euro ed il tagliando mi viene consegnato dalla cassiera insieme alla guida. La mostra si tiene al piano – 1 del grande Museo.

L'ingresso della Mostra "Roma in Seoul"
L'ingresso


La statua di Marco Aurelio.

La statua di Marco Aurelio
 E’ l’unica stata equestre, che non è stata distrutta dai cristiani, perché il volto di Marco Aurelio sarebbe, in verità, la riproduzione del volto di Costantino il Grande, che tanta parte ebbe nell’affermazione del Cristianesimo.

La sezione, dedicata alle armi, è particolarmente interessante. S’inizia, intanto, con dei simboli, appartenenti agli eserciti di Roma.

I simboli degli eserciti di Roma

L’immancabile divisa del Centurione, che attira la curiosità dei tanti (anzi troppi!) bambini vocianti.
La divisa da centurione

I centurioni rappresentano il vero nerbo dell’esercito romano: si trattava di soldati professionisti e con molti anni di servizio alle spalle. La carica di centurione rappresentava l’apice della carriera per un legionario, il cui incarico si espletava all’interno di una coorte.
Il nome “centurione” si riferiva alla centuria, un’unità composta, nella legione del I secolo d.C. da ottanta uomini (o centosessanta nella I coorte). Percepivano un salario piuttosto elevato ed il premio di congedo, particolarmente ricco ed elargito alla fine del servizio attivo, non di rado consentiva ai centurioni di ritirarsi con una piccola fortuna, che permetteva loro di acquistare ville e fondi in campagna e di far scolpire preziose steli funebri per celebrare la loro carriera.

Si passa ad un’arma, che serviva, per romper le mura delle città nemiche: l’ “ariete” (aries pensilis); una delle prima macchine da guerra, usate dall’esercito romano, la cui origine, sembra, fosse assira.

L'ariete
Una bella cartina indica quale fosse l’estensione di Roma fino all’anno 117 d. C., quando era imperatore Traiano.

Il dominio di Roma al tempo di
Traiano imperatore
  Egli, ancora governatore della Germania superiore, seppe che il vecchio imperatore Nerva lo aveva designato quale successore. Era la prima volta che veniva nominato un imperatore, non secondo la successione dinastica, ma per merito.

Non era nato a Roma, ma in una città della Spagna meridionale. A Roma realizzò i Fori Imperiali, la colonna Traiana, che ancora oggi (fortunatamente) sono una delle mete preferite dai turisti, che vengono da ogni parte del mondo, per visitarli.


Si passa poi alla riproduzione di un “Abaco romano”: una sorta di pallottoliere tascabile, costituito da una piccola tavoletta di bronzo, dotata di scanalature, all’interno delle quali scorrevano dei sassolini.

L'abaco
Dal nome latino di questi ultimi, calculi, deriva il termine calcolo.









Poi un’ingegnosa macchina “cuscinetti a sfera”, che era stata utilizzata all’interno della Domus Aurea, che fu edificata su ordine di Nerone.

I cuscinetti a sfera
Questo ingegnoso meccanismo si trovava nella “Sala rotante”. Era una stanza rotonda dal pavimento di legno appoggiata ad una ruota dal diametro di 12 metri e con un pilastro di quattro metri, che ruotava su sé stessa giorno e notte attraverso cuscinetti a sfera e con il pavimento, poggiato sull'acqua. Un congegno geniale al servizio della follia di un imperatore, che, sentendosi un dio al centro del pianeta, era convinto di poter ricreare “il mondo in una stanza”.

Passiamo ai divertimenti degli antichi romani, cominciando, forse, dagli spettacoli più famosi: i combattimenti tra gladiatori, che si svolgevano nell’Anfiteatro Flavio. Il loro nome deriva dalla spada corta che usavano nei combattimenti: il "gladio".

Il gladiatore, pronto a scendere nell'arena

Le armi dei gladiatori


Il gladiatore imparava l’arte della gladiatura in "ludi", delle scuole, che erano caserme molto simili a prigioni, che si trovavano in tutto l’impero; dormiva in piccole celle disposte intorno al cortile, dove si allenava.

I gladiatori potevano essere dei prigionieri di guerra, dei criminali, dei galeotti, degli schiavi, dei condannatio uomini liberi senza futuro; potevano essere inesperti o dei veri professionisti, soprattutto i prigionieri di guerra, che, dopo aver vissuto diverse lotte armate, combattimenti, battaglie e sofferenze erano particolarmente temprati ed agguerriti e spesso venivano da terre lontane come la Tracia e la Germania.
 Questi personaggi erano i più ricercati e, dal momento che non avevano altre possibilità di vivere decorosamente la loro esistenza, si proponevano volentieri e si impegnavano fortemente nella pericolosa carriera del gladiatore.
La popolarità del gladiatore vincente era davvero notevole: il popolo lo esaltava e seguiva i combattimenti e gli spettacoli con passione e il suo nome diventava famoso.
Il gladiatore, che aveva vinto il suo avversario, si rivolgeva al pubblico dell’Anfiteatro, per domandare la sorte che la folla voleva riservare allo sconfitto e la folla, con un segno della mano decideva per la morte o per la vita: il pollice rivolto verso l’alto, "mitte" (salvo) significava che doveva vivere e il pollice rivolto verso il basso, "jugula" (morte) significava che doveva morire. Alla fine, però, era l’imperatore o chi organizzava lo spettacolo in questione, che con il suo pollice determinava la sorte del gladiatore sconfitto.

Molto bella e ricca di descrizioni è la sezione della Mostra, dedicata alla Scuola di Roma.
I primi maestri del bambino romano erano i genitori.
Col crescere della potenza di Roma, quest’usanza cominciò ad essere trascurata, in quanto la ricchezza entrò in molte famiglie e i genitori non avevano più tempo di educare personalmente i figli.
I bambini delle famiglie nobili vengono allora affidati ad un paedagogus, cioè un pedagogo, uno schiavo istruito, che aveva il compito di accompagnare ovunque il bambino: a scuola, a passeggio, agli spettacoli…

A 6 anni i bambini cominciavano a frequentare la scuola del ludi magister, simile all’attuale scuola elementare. Si svolgevano sei ore di lezione al giorno con una piccola interruzione a mezzogiorno. Si faceva vacanza ogni nove giorni e nei giorni festivi. In questa scuola i fanciulli romani imparavano solamente a leggere, a scrivere e a fare i calcoli.
La disciplina era molto rigida e gli alunni indisciplinati venivano puniti con la verga o la ferula, una frusta di cuoio.
A 12 anni i maschi iniziavano il secondo livello di istruzione con il “grammatico”, un insegnante, che veniva generalmente dalla Grecia, dall’Asia o dall’Egitto. Il grammatico impartiva lezioni di lingua e letteratura greca e latina, storia, geografia, fisica e astronomia.

Le femmine invece, quando considerate adulte, imparavano il mestiere di casalinga: imparavano a filare, tessere e a dirigere i lavori domestici, svolti dagli schiavi.

Le famiglie più ricche non mandavano i loro figli alla scuola del grammatico, perché esse potevano permettersi maestri privati e potevano addirittura comprarli. Questi maestri erano quasi sempre degli schiavi greci molto istruiti, che insegnavano, forse, in un modo meno noioso, perché avevano a disposizione molti più mezzi. I precettori privati venivano assunti dalle famiglie più ricche, che volevano garantire alle proprie figlie un’educazione più completa. In questo modo, anche le ragazze potevano imparare a suonare, a cantare e a studiare il Greco, così come facevano i maschi alla scuola del grammatico.

A 17 anni, dopo aver terminato la scuola del grammatico, i ragazzi iniziavano il terzo livello di istruzione, affrontato solo da coloro che avrebbero intrapreso la carriera politica o quella dell’avvocatura.
Gli studi superiori duravano due anni ed erano tenuti dai retori (rethores), che ispirandosi agli illustri oratori greci e latini, insegnavano agli alunni l’arte della retorica, cioè l’arte del “ben parlare”, la capacità di parlare bene e con facilità.

In seguito, i giovani romani che volevano completare ulteriormente i loro studi dovevano intraprendere un viaggio: ad Atene, a Pergamo, a Rodi o ad Alessandria dove poteva trovare validi maestri di filosofia, di geografia, di astronomia e di fisica più facilmente che a Roma, dove la maggior aspirazione per un ragazzino romano era vincere una gara di recitazione di poesia.

La religione a Roma. In una tabella, sono indicati i nomi delle divinità romane e la loro funzione.

Cecere. Dea dell'agricoltura, la cui figlia Proserpina era identificata con Persefone. La credenza greca, secondo la quale alla sua gioia di unirsi nuovamente alla figlia si doveva ogni primavera la rinascita della natura e l'abbondanza di frutta e di raccolti sulla terra, fu introdotta a Roma nel V secolo a.C., e il suo culto divenne molto popolare soprattutto fra i plebei.
Cupido. Dal latino cupere, "bramare", nella mitologia romana, figlio di Venere, dea dell'amore, e di Vulcano, dio del fuoco. Noto soprattutto come il dio giovane e bello, che si innamorò di Psiche, una fanciulla bellissima. In altri racconti appare come un ragazzo dispettoso, che colpisce indiscriminatamente uomini e dei con le sue frecce, facendoli innamorare perdutamente.

Diana. Dea della Luna e della caccia. Custodiva le fonti e i torrenti ed era la protettrice degli animali selvatici.

Giove. Il padre degli dei, figlio del dio Saturno, che spodestò. In origine dio e re del cielo, Giove era venerato come dio della pioggia, del tuono e del fulmine. Come protettore di Roma veniva chiamato Iuppiter Optimus Maximus ("il migliore e il più grande") ed era venerato in un tempio sul Campidoglio. In quanto Iuppiter Fidius era il custode della legge, il difensore della verità e il protettore di giustizia e virtù; i romani identificavano Giove con Zeus, il dio supremo dei greci, e assegnavano al dio latino gli attributi e i miti della divinità greca.

Giunone. Regina degli dei, sposa e sorella di Giove. Era la protettrice delle donne e fu venerata con nomi diversi. Come Iuno Pronuba presiedeva al matrimonio, come Iuno Lucina aiutava le donne nel parto, e come Iuno Regina era la particolare consigliera e protettrice dello stato romano.

Marte. Dio della guerra. Benché la sua natura originaria e le sue funzioni siano oscure, Marte, da cui prende nome il mese di marzo, era identificato dai romani con il dio greco della guerra, Ares. Tra le principali divinità di Roma, era considerato anche il padre del popolo romano, in quanto padre di Romolo, il leggendario fondatore della città; il suo altare si trovava nel Campo Marzio.

Mercurio. Messaggero degli dei, figlio del dio Giove e di Maia, figlia del titano Atlante. Mercurio era anche il dio dei mercanti e del commercio e condivideva molti degli attributi del dio greco Ermes.

Minerva. Dea dei lavori manuali. Identificata fin dai tempi antichissimi con Atena, Minerva era patrona delle arti e del commercio.

Nettuno. Dio del mare, figlio del dio Saturno e fratello di Giove, re degli dei, e di Plutone, dio dei morti. In origine dio delle fonti e dei corsi d'acqua, fu poi identificato con il dio greco del mare, Poseidone.

Plutone. Dio dei morti, sposo di Proserpina, che corrisponde al dio greco Ade. Plutone aiutò i suoi due fratelli, Giove e Nettuno, a esautorare il padre, Saturno. Quando si divisero tra loro il mondo, Giove scelse la terra e i cieli come suo regno, Nettuno diventò il dio del mare e Plutone ebbe il mondo sotterraneo, in cui regnava sulle ombre dei morti

Saturno. Antico dio dell'agricoltura. Nelle leggende più tarde fu identificato con il dio greco Crono, che, spodestato dal figlio Zeus (per i romani, Giove), fuggì in Italia, dove regnò nell'Età dell'Oro, epoca di perfetta pace e felicità.

Venere. Era originariamente una dea dei giardini e degli orti, in seguito identificata con Afrodite, la dea greca dell'amore e della bellezza. In epoca imperiale era venerata sotto diverse sembianze: come Venus genitrix era madre dell'eroe Enea, capostipite del popolo romano e in particolare della gens Iulia, cui appartenne Giulio Cesare; come Venus felix, apportatrice di fortuna; come Venus victrix, colei che procura la vittoria; come Venus verticordia, protettrice della castità femminile.

Vulcano. Dio del fuoco, originariamente un'antica divinità italica, che sembra essere stata associata al fuoco vulcanico; in epoca imperiale Vulcano veniva identificato con il dio greco Efesto e la sua festa, i Volcanalia, veniva celebrata il 23 agosto. Era particolarmente venerato a Ostia, centro del suo culto.

E si conclude la prima parte della Mostra, dedicata all’antica Roma. Attraverso un corridoio, ci ritroviamo, magicamente, in una strada di Roma in tempi moderni.

Roma oggi
Una bellissima Cinquecento gialla troneggia proprio di fronte alla Fontana di Trevi.

La Cinquecento; un mito anche oggi!

La Fontana di Trevi


Domina la piazza di Trevi, componendo uno degli scenari più famosi al mondo, e che rappresenta una delle mete turistiche più visitate di Roma. La fontana è l'elemento terminale dell'acquedotto Vergine, uno dei più antichi acquedotti romani, tuttora in uso fin dal tempo di Augusto.

Fu voluto, nel 19 a.C., da Marco Vipsanio Agrippa, per alimentare le terme che egli stesso aveva fatto costruire al Pantheon. Nel 1453, il papa Nicolò V avviò un'opera di bonifica dell'acquedotto, della quale furono incaricati Leon Battista Alberti e Bernardo Rossellino, architetti dell'Acqua Vergine.

La fontana, che possiamo ammirare oggi, fu iniziata per volere del papa Clemente XII, nel 1732, dopo che nell'area, a partire dal 1640, si erano intrapresi lavori di restauro fermatisi, però, a un basamento a esedra, realizzato da Gian Lorenzo Bernini.

La Bocca della verità.

La Bocca della verità
Si trova all'interno del portico della chiesa paleocristiana di Santa Maria in Cosmedin – edificata nel VI secolo sull'ara massima di Ercole - è, probabilmente, un antico chiusino di età classica a forma di mascherone, rappresentante una divinità fluviale con la bocca spalancata. Questo grande disco di marmo –1,75 m di diametro - collocato qui nel 1632, è conosciuto dai turisti di tutto il mondo per la leggenda alla quale è associato, per cui i bugiardi che vi introducono la mano resterebbero monchi.

L’abbigliamento di Roma antica chiude questa bella Mostra, dedicata alla mia città. In uno spazio riservato, era possibile indossare dei costumi e fare delle fotografie.

Alcuni vestiti di Roma antica
 Molti i bambini, che chiedevano d’indossare i tanti costumi disponibili ed era simpatico vederli pavoneggiarsi davanti alle macchine fotografiche! Insomma, Roma sembrava davvero di aver conquistato anche loro!








Roma in Seul

P.S. Le notizie storiche sono state tradotte dalla guida in lingua inglese, che viene consegnata all'ingresso della Mostra.